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Ri-progettare Lo Sviluppo Sostenibile Partendo Dai Luoghi E Dalla Prossimità

Contributo di Ezio Manzini, Desis Network – Politecnico di Milano

Vorrei iniziare da Riace. Ma non per parlavi delle vicende giudiziarie che coinvolgono l’ex sindaco Mimmo Lucano. Su questo terreno lascio ai giudici prendere le loro decisioni. Mi permetto però di osservare che, in tanti anni di lavoro, non ho conosciuto nessun caso di innovazione sociale radicale che sia cominciato totalmente in regola con le norme. Ed è ovvio che sia così: le norme regolano quello che già è noto. Quindi, chiunque agisca in un modo del tutto nuovo, facendo succedere qualcosa che non c’era prima, corre il rischio di trovarsi se non proprio fuori, certamente ai margini della legalità.

Quello che vorrei dire rispetto all’esperienza di Riace è che il concentrare l’attenzione su come Mimmo Lucano ha interpretato la legge, e sugli eventuali errori che può aver commesso, rischia di non far vedere lo straordinario valore di ciò che ha fatto: la trasformazione di un luogo, fino a quel momento praticamente abbandonato, in una comunità accogliente. Un esempio che se pure non si può copiare, è da prendere come riferimento per le lezioni che ne possiamo trarre. E la principale lezione che ne possiamo trarre è questa:

per costruire situazioni accoglienti occorre operare contemporaneamente sui luoghi e sulle comunità. Cioè occorre creare, al tempo stesso, un’infrastruttura fisica e un’economia di prossimità.

Se ora lasciamo Riace e guardiamo al PNRR, vediamo che esso dichiara di voler promuovere la transizione verso la sostenibilità finanziando progetti orientati alla ripresa e alla resilienza. A fronte di questa dichiarazione, ci si può dunque chiedere se, una volta che fossero implementati, questi progetti faciliterebbero davvero chi opera per la ripresa e la resilienza. Per esempio, nel caso di Riace, se la loro implementazione avrebbe facilitato la vita Mimmo Lucano e delle sue politiche di comunità. Credo che la risposta a questa domanda sia una specie di cartina tornasole circa il se e il quanto il PNRR, e i progetti che finanzia, vadano nella direzione desiderata.

Detto questo, però, non possiamo aspettarci che il Piano, in quanto tale, possa essere la soluzione dell’intero problema. Infatti, per sua natura, esso potrà generare solo delle infrastrutture. E queste, nella migliore delle ipotesi, avranno solo la potenzialità di supportare i complessi processi socio-tecnici che vorremmo veder accadere. Ma tutta la componente sociale di questi processi rimarrebbe ancora da costruire. Quindi, dobbiamo essere ben consapevoli che, anche nella più rosea delle prospettive, il lavoro sul Piano dovrà completarsi con un altrettanto grande lavoro nel sociale.

In definitiva, per valutare la qualità del PNRR dovremo verificare se e quanto i progetti che genererà saranno capaci di promuovere e sostenere le forme sociali che vorremmo veder nascere. E quindi, se e quanto i servizi che genererà saranno distribuiti sul territorio e vicini alle persone e ai gruppi sociali che con essi interagiranno.

Allo stato attuale delle cose, leggendo il PNRR, si può notare che soltanto una delle 6 missioni, la Missione 6 relativa alla salute, fa esplicito riferimento alla territorializzazione dei servizi socio-sanitari e alla loro socializzazione, con la proposta delle Case di comunità.
È interessante notare che, al di là di come il Piano verrà sviluppato, solo in questa missione si parla esplicitamente di questi temi. Io credo che ciò dipenda dalla pandemia e da quello che da essa, volenti o nolenti, abbiamo dovuto imparare e che gli estensori del piano non hanno potuto ignorare.

La pandemia ha infatti messo in luce, e reso a tutti evidente, qualcosa che, in realtà, gli esperti di sistemi sociali in condizioni di stress già sapevano: in una situazione catastrofica le società e le infrastrutture che resistono meglio sono quelle in cui sono attive delle comunità legate al luogo in cui abitano. Delle comunità di luogo intese come gruppi di persone che hanno relazioni tra loro e con il territorio. E che quindi si conoscono, conoscono il territorio e hanno abitudine a fare delle cose assieme.

Infatti, quando succede un evento catastrofico, le comunità di luogo sanno reagire positivamente, capire cosa sia meglio fare e organizzarsi per farla. Al contrario, dove queste comunità non ci sono, confrontandosi con un evento catastrofico, le persone si sentono sole, perdute e in attesa di indicazioni (che, per altro, spesso non arrivano). Così l’intero sistema collassa.

Questa regola generale si è verificata anche con la tragedia del Covid 19. In particolare, essa ci ha confermato che, per essere resilienti, i servizi devono essere distribuiti sul territorio e intrecciati con le comunità. Ci ha mostrato infatti che i sistemi sanitari che hanno resistito meglio sono quelli che avevano mantenuto una presenza territoriale. Cioè, appunto, una distribuzione sul territorio che ha permesso loro di essere in contatto capillare e diretto con le comunità cui si riferivano.

Il grande insegnamento che questa tragedia ci ha dato è dunque il riconoscimento del valore della territorializzazione e della socializzazione dei servizi. Una qualità questa che è importante in ogni momento, ma che diventa fondamentale ogni volta una società affronta situazioni di stress. Il che, nel futuro, sarà sempre più frequente.

Purtroppo nel processo di redazione del PNRR, e nella sua attuale implementazione, è mancata una vera discussione su questi temi. Per cui, anche nella migliore delle ipotesi, il Piano produrrà solo infrastrutture potenzialmente socializzabili. Cui poi bisognerà dare un’anima, specificando quale.
In circolazione ci sono infatti diverse idee su che cosa significhi andare verso la sostenibilità.

Quella che la pandemia ci ha mostrato ci parla della terra come di un grande organismo vivente di cui noi umani siamo parte. E ci dice che, a fronte dei danni che abbiamo prodotto, dobbiamo sforzarci di risanarlo ritessendo la rete della vita che abbiamo lacerato. Il che si può fare solo partendo dalla ricostruzione della relazione tra luoghi e comunità.

 

Il contributo è pubblicato nel volume “GENERAZIONI. La sfida della Sostenibilità Integrale” che raccoglie tutte le relazioni e approfondisce i temi emersi in occasione della XXI edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile.

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AICCON

AICCON è il Centro Studi promosso dall'Università di Bologna, dal movimento cooperativo e da numerose realtà, pubbliche e private, operanti nell'ambito dell’Economia Sociale, con sede presso la Scuola di Economia e Management di Forlì.

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