Il tema della XXV Edizione
LIBERI PER..
L’essenza della libertà è cominciare
A. Arendt – Vita activa (1958)
Concept Note a cura di Paolo Venturi e Stefano Zamagni
Libertà: la sfida cruciale del nostro tempo
Nel tempo presente, il desiderio di un “futuro buono” si infrange contro un clima di profonda incertezza, che alimenta paura e una crescente domanda di protezione. Questo scenario rischia di imprigionarci in una trappola di riduzionismo, dove la libertà viene intesa in modo sempre più ristretto e difensivo.
Eppure, è proprio in questi contesti che la libertà, nella sua forma più piena, deve tornare al centro dell’agire civile e collettivo. Ripartire da una libertà integrale significa andare oltre la storica distinzione tra “libertà da” e “libertà di” (Isaiah Berlin), per abbracciare la dimensione della “libertà per“: la libertà per il bene comune. Un orientamento che non si limita all’autonomia individuale, ma valorizza la corresponsabilità come premessa, la relazione come metodo, il contesto come fattore generativo e la trasformazione come esito.
La 25ª edizione de Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile si colloca dentro questa cornice: un’occasione per esplorare il nesso tra libertà, relazioni, tecnologie, lavoro e innovazioni radicali. Un tempo per pensare insieme a quali condizioni la libertà possa tornare a essere costruzione collettiva e quotidiana, capace di generare trasformazione sociale e nuovi paradigmi di sviluppo.
In questa prospettiva, la libertà si configura come un orizzonte relazionale, che rompe con l’individualismo e restituisce significato all’agire condiviso. Un cambiamento non guidato dall’emergenza, ma da una rinnovata intraprendenza comunitaria.
Libertà che trasforma: dalla riparazione alla generazione
Assumere una prospettiva integrale di libertà ha un effetto trasformativo: permette di superare una visione incrementale e riparatoria, per aprirsi a processi e progettualità che partono da un orizzonte desiderato, in cui la persona non è solo utente ma protagonista.
Non si tratta più di riparare alle fragilità o di sopperire alla scarsità di beni pubblici, ma di innescare un’abbondanza generativa di azioni, beni, istituzioni e impatti.
Un’abbondanza che trova la propria moralità nell’orientare la libertà della persona verso un progetto condiviso capace di cambiare le regole del gioco, come già affermato nella precedente edizione delle Giornate di Bertinoro. Scarsità e abbondanza, dunque, si ridefiniscono. Ciò che conta e ciò che vale non possono più essere separati.
La triade della libertà
Il concetto di libertà è tra i più antichi della storia del pensiero. La novità oggi non è parlarne, ma declinarla in modo nuovo, alla luce delle trasformazioni del nostro tempo. Le tre nozioni classiche di libertà vanno qui rilette criticamente. Anzitutto, la “libertà negativa” (“libertà da”) designa l’assenza di ostacoli esterni, di coercizioni e privazioni. Poi vi è la “libertà positiva” (“libertà di”), che implica la capacità concreta di realizzare i propri progetti di vita, grazie alla disponibilità di risorse, competenze e opportunità. Entrambe le definizioni, rese celebri da Isaiah Berlin, rispondono a esigenze fondamentali. Ma è la terza dimensione, spesso trascurata, a orientare l’agire: la “libertà per“. Ovvero la libertà come tensione verso un fine, un “telos”, che guida e conferisce senso all’azione. Avere libertà “da” e “di” non basta, se manca un orizzonte verso cui dirigersi. Lo vediamo con chiarezza nelle sfide della transizione digitale: spesso sono le tecnologie a suggerire cosa fare e perché, svuotando di senso le scelte individuali. Come osservato da Luciano Floridi, la persona rischia di diventare solo un’interfaccia, iperconnessa ma sempre più sola. L’espansione della libertà negativa e positiva avviene, paradossalmente, a scapito della “libertà per”.
Ecosistemi di libertà: declinazioni concrete di una prospettiva civile
Questa prospettiva non può rimanere astratta. Va realizzata nella realtà concreta: attraverso la sussidiarietà circolare, nei distretti dell’economia civile, nelle pratiche di amministrazione realmente condivisa, nei modelli organizzativi, nelle nuove economie sociali che ridisegnano il welfare e l’abitare, nelle reti che troppo spesso restano ego-sistemiche invece che eco-sistemiche. Processi che non possono essere orfani dell’intelligenza artificiale e del valore generativo del dono. Cambiare le regole del gioco richiede energia e coraggio, immaginazione e responsabilità. Serve una libertà che non risponde solo alla domanda “cosa fare?” ma soprattutto a “cosa è bene fare?”. Perché solo la “libertà per” permette di ancorare i mezzi ai fini, di riconnettere l’agire al senso. Per sostenere questa prospettiva occorre una energia ed uno sguardo adeguato. Un paradigma capace di contrastare il misoneismo e promuovere un welfare generativo, fondato sull’equilibrio tra diritti e doveri, bisogni e desideri.
L’economia civile può essere il lievito di questa trasformazione capace di incorporare l’equità e la felicità nelle soluzioni. Non basta più offrire e finanziare risposte tardive quando il danno si è già consumato, è necessario agire sulle cause e trasformare i rischi sistemici in risorse a prova di futuro. Per far accadere tutto ciò occorre prendersi dei rischi: servono nuove alleanze, un nuovo design del welfare e la riscoperta della dimensione civile dell’economia, un patto condiviso con le nuove generazioni.
Ma quali sfide il terzo settore e l’economia sociale, oggi, devono affrontare (e possibilmente vincere) ai fini di una piena attuazione della categoria di libertà? Ne indichiamo tre, non perché siano le uniche, ma perché sono quelle che appaiono più urgenti.
- Un nuovo umanesimo del lavoro: il lavoro come bisogno di espressione
Una prima sfida è ridare centralità al lavoro come espressione della persona. Oggi è evidente a molti che la cultura del lavoro è in crisi, anche nell’economia sociale.
L’economia civile propone una lettura differente: il lavoro non è solo un diritto, ma un bisogno fondamentale dell’essere umano. Un bisogno di trasformare il reale e, così facendo, trasformarsi. Da questo principio discendono due conseguenze. La prima è ben espressa dalla massima scolastica operari sequitur esse (“è l’essere che guida l’agire”). Quando il lavoro non riflette più l’identità e il senso della persona, esso si svuota e si fa alienazione. La seconda riguarda la definizione di lavoro “decente”, come indicato dall’ILO. Non basta che sia remunerato equamente: deve anche nutrire la capacità di autorealizzazione e relazione. Lavoro è azione, trasformazione e relazione. Se manca anche solo uno di questi elementi, si genera una perdita di significato. Le conseguenze possono essere drammatiche. Lo raccontano Angus Deaton e Anne Case in “Morti per disperazione” analizzando come la crisi di senso, più della povertà materiale, abbia causato un aumento della mortalità tra le classi lavoratrici americane. Un lavoro svuotato di senso, desertifica la vita.
- Pensiero critico e intelligenza artificiale: custodire la libertà nell’era della post-verità
La seconda sfida è preservare la libertà di pensiero (pensante non calcolante) nell’era dell’intelligenza artificiale e della post-verità. Siamo nel mezzo di una trasformazione radicale: non più solo un cambiamento tecnologico, ma un mutamento di stato. Abbiamo lasciato la riva del passato, ma non siamo ancora giunti alla nuova. Questo genera ansia, paura, spaesamento. Oggi il capitalismo vive una nuova fase, quella cibernetica. Dopo la meccanizzazione dei corpi, l’IA punta alla sostituzione delle menti. Ma l’intelligenza artificiale è sintattica, non semantica: elabora correlazioni, ma non comprende il significato. Non distingue il vero dal falso. Questo è il terreno fertile delle “fake truth”: narrazioni false ma credute vere, che diventano realtà sociale se nessuno le contesta. Il pensiero critico è il primo presidio della libertà. In sua assenza, la democrazia si indebolisce. Per questo il Terzo Pilastro (R. Rajan) ha un ruolo cruciale: non solo erogatore di servizi, ma custode di significati, protagonista di uno sviluppo umano e condiviso. Contro la desertificazione democratica, serve la fioritura di un pluralismo fondato sul mutuo vantaggio, come ricordava Guido Calogero: “la migliore delle democrazie nasce dalla moltitudine delle democrazie”.
- Desiderare l’impossibile: politiche e sviluppo all’altezza dell’umano
La terza sfida è culturale e antropologica: come risvegliare il desiderio, soprattutto tra i giovani? Il desiderio non è piacere immediato, ma tensione verso qualcosa di grande, verso l’essere. È la capacità di immaginare un bene più grande del bisogno. Come scriveva Jacques Maritain: “niente è più umano del fatto che l’uomo desideri naturalmente cose impossibili alla natura”. Abbiamo barattato l’homo desiderans con l’homo consumans, addomesticando il desiderio dentro il recinto dell’utilità. Ma senza desiderio non c’è innovazione, non c’è futuro. René Girard lo aveva intuito già vent’anni fa con la sua teoria del desiderio mimetico: senza educazione al desiderio, si cade nella rivalità, nella violenza, nella distruzione del diverso.
Il desiderio è il luogo in cui nasce il cambiamento. Non accade per caso, ma vicino a chi lo cerca. Per questo è urgente reintegrare il desiderio nelle politiche, nel welfare, nell’economia, nei servizi e nelle comunità: perché anche chi ha fame ha sogni, chi ha bisogno di cure coltiva speranze, chi lavora desidera senso. La Piramide di Maslow, con la sua rigida gerarchia, va superata.
Conclusione: felicità è spendersi per un ideale
Le tre sfide delineate non sono impossibili da vincere. L’anelito alla libertà – come qui intesa – è parte profonda dell’umano. Nella stagione attuale, si produce valore autentico solo se si genera senso, in luoghi ed istituzioni che costruiscono occasioni concrete di libertà, la quale – mai lo si dimentichi – non può essere prodotta, né può essere scambiata al modo delle merci.
È la felicità a ravvivare di continuo un tale anelito, perché la felicità non arriva ad una esistenza che si spende per essere felice, ma ad una esistenza che è felice di spendersi per un’ideale.
È questa la prospettiva che anima il progetto dell’economia civile e questa 25° edizione de Le Giornate di Bertinoro.