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Il tema della XXIII Edizione
OLTRE LA FORMA
Risignificare le organizzazioni per generare cambiamento

 Viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi
corrisponde l’atrofia dei fini.

Paul Ricoeur

Oltre l’efficientismo: ri-sostanziare le istituzioni

La richiesta che emerge con forza e chiarezza dalle comunità è quella di cambiamento. La percezione di un immobilismo che permea l’intera collettività, sta diventando sempre di più nutrimento per “comunità rancorose”, e soprattutto nelle nuove generazioni finisce per erodere la spinta motivazionale ad interessarsi alla cosiddetta res pubblica. Allo stesso tempo è ormai coscienza di molti come negli ultimi decenni le società abbiano disegnato le loro traiettorie di sviluppo poggiando su modelli di vita e di crescita totalmente insostenibili, ed oggi è proprio tale insostenibilità a divenire l’innesco per la pretesa di interventi che sappiano essere radicali tanto nelle proposte, quanto nel coraggio con il quale immaginare il domani del vivere insieme.

A fare la differenza è la postura che persone ed organizzazioni scelgono di assumere: il cambiamento può infatti essere subìto oppure può venire governato.

Negli ultimi 10 anni si è assistito all’affermazione e alla primazia di modelli organizzativi  tecnocratici: un processo evolutivo in cui l’efficacia ed il senso dell’agire son stati assunti come mezzi.  Ciò ha determinato una distorsione dello sguardo e un profondo riduzionismo che ha trasformato to il principio di efficienza in ‘efficientismo’. Una prospettiva, quella dell’efficientismo, secondo cui è prioritario accorciare lo sguardo, prestando maggiore attenzione al presente e al breve periodo, eliminando quanto più possibile, l’elemento del rischio.  La conseguenza di tutto ciò la osserviamo nella dominanza delle “certificazioni’’ e degli ‘’standard’’ che invadono forme giuridiche, modelli di sostenibilità, processi organizzativi e valutazioni: per rispondere a qualunque domanda di senso e trasparenza si va in cerca della “misura giusta”. Questa deriva tecnocratica non è senza conseguenze, sia guardando alle performance organizzative in senso stretto – per esempio in termini di agilità nell’attrarre risorse per investimenti innovativi – sia, ed è quasi più rilevante, in termini di senso, in quanto simili organizzazioni rischiano di non essere più istituzioni vitali per l’azione collettiva, sostenendola e incrementandone l’impatto sociale e la democrazia. È necessario ricordare che di sola efficienza si può “morire”, in quanto non è in questo elemento che si sostanzia il valore aggiunto ed il significato.        

Diventa perciò urgente risignificare le organizzazioni, non in termini formali, ma sostanziali, attivando conseguenti (e a volte complessi e dolorosi) processi di cambiamento.

Oltre la riforma: per un agire trasformativo

La necessaria stagione di riforme avviatasi con il Codice del Terzo Settore, se da un lato ha prodotto un riconoscimento istituzionale e numerose innovazioni e incentivi, dall’altro ha generato una maggior incertezza che si è tradotta, in molti casi, in una progressiva istituzionalizzazione. Ha prevalso in molti una prospettiva adattiva che ha costretto gli ETS ad accrescere le proprie strutture burocratiche interne, ritrovandosi così con modelli decisionali altamente centralizzati e lenti. La concentrazione sul rafforzamento “strutturale” dell’organizzazione e le crescenti richieste di compliance da parte del soggetto pubblico e di molte istituzioni finanziatrici, portano oggi a chiedersi, in maniera tutt’altro che retorica: qual è la sostanza delle organizzazioni?

Le organizzazioni che nel prossimo futuro continueranno a prosperare sono quelle che si dimostreranno capaci di coltivare un’ambizione in termini trasformativi, tentando di rispondere ai bisogni non solo attivando risposte emergenziali, ma sforzandosi per quanto possibile di intervenire a monte su quelle che sono le condizioni sistemiche che generano disuguaglianze ed esclusione.

La necessità di avviare un processo per ri-sostanziare e si-significare le organizzazioni dell’Economia Sociale, deve però misurarsi con almeno tre grandi ostacoli:

  1. una crescita sproporzionata dell’apparato tecnocratico a scapito di quello progettuale ed operativo;
  2. una scarsa offerta di luoghi per l’educazione all’intraprendenza, quale risorsa primaria che alimenta la dimensione culturale e intenzionale delle esperienze associative e cooperative.
  3. La tendenza all’inseguimento di modalità di creazione di valore che snaturano la propria identità originaria e non riconoscono gli elementi realmente competitivi che contraddistinguono la natura delle organizzazioni orientate all’interesse generale.

Può sembrare scontato, ma oggi è doveroso ribadire come un’organizzazione, soprattutto quelle mosse da una tensione al bene comune, possa mantenere una propria identità e finalità coerenti con la propria natura solo se c’è la volontà di coltivare ed investire in quelle che sono le sue componenti immateriali: motivazioni, intenzionalità, cultura organizzativa, senso di appartenenza nei lavoratori, riconoscimento dalla comunità e visione di lungo periodo.  I due rischi maggiori per queste esperienze sono infatti quello di rendere sempre più marginale il proprio movente ideale e quello di incentrare eccessivamente la sostenibilità dell’organizzazione sulla funzione manageriale a discapito della funzione imprenditoriale. Il pericolo che vediamo e che occorre scongiurare, è quello di cadere in un nuovo “isomorfismo organizzativo” che rischia di consumare la biodiversità del Terzo settore e dell’economia sociale tutta.

Siamo in una fase di transizioni caratterizzata da spinte opposte. Se da una lato, si osservano pratiche di de-mutualizzazione, dall’atro assistiamo ad un rilancio del mutualismo in forme inedite e profondamente generative (ad es. cooperative di comunità, comunità energetiche, ecc.), così come la crescente l’individualizzazione delle pratiche solidaristiche ( certificata anche dall’Istat attraverso la riduzione del numero dei volontari), viene contraddetta dallo spettacolo dei cittadini che nell’emergenza dell’alluvione in Romagna, si sono attivati in maniera informale dando prova di una desiderio di condivisione e solidarietà per molti inaspettato.  

Le diagnosi non sono più sufficienti. Risignificare le organizzazioni diventa perciò la premessa per una strategia realmente trasformativa ossia capace di ambire a produrre cambiamenti incidenti e visibili dalle nuove generazioni.

Oltre l’adattamento: l’urgenza di una strategia per lo sviluppo

Le sfide e gli obiettivi descritti non possono essere affrontati senza una co-responsabilità e una correzione (cum – regere: reggere insieme) di tutte le organizzazioni dell’Economia Sociale. Per fare ciò bisogna distinguere 3 piani principali: il primo è quello che afferisce alle pratiche volte ad allestire un contesto in grado di stimolare la creazione di nuovi significati, il secondo quello che afferisce a iniziative interne di rinnovamento organizzativo, ed il terzo quello che ridisegna le relazioni con la Pubblica Amministrazione, le imprese for profit ed il territorio.

Il primo piano afferisce alle pratiche volte ad allestire un contesto d’innovazione sociale, si compone di almeno quattro cantieri:

  1. Il ri-significare il lavoro, a partire dalla presa d’atto che oggi esso è attraversato da un processo di trasformazione che spinge verso la definizione di una nuova cultura del lavoro, e che chiede alle realtà del Terzo Settore di riconoscere le nuove istanze dei lavoratori dando attenzione anche al loro benessere (compenso e senso) oltre ovviamente a quello degli utenti e cittadini coinvolti.
  2. Il ri-significare il rapporto tra mezzi e fini del proprio agire organizzativo acquisendo una matura prospettiva “impact oriented”, dove l’impatto non costituisce l’ennesimo criterio di compliance, ma funge da bussola per circoscrivere in modo più puntuale fin dall’inizio la reale dimensione di cambiamento che si intende raggiungere.
  3. Il ri-significare l’azione formativa, coniugando “formazione” ed “educazione”, termini che non sono sinonimi e indicano forme di conoscenza profondamente differenti. Qui la sfida è doppia: da un lato ripensare l’offerta formativa a diversi livelli creando ponti più stretti tra i bisogni delle organizzazioni presenti sui territori e gli insegnamenti svolti, il che si traduce in un lavoro di collaborazione con gli istituti scolastici e le università. Dall’altro iniziare a porre una “questione culturale” del Terzo settore, ovvero di suo posizionamento e sguardo rispetto a quello che è il suo ruolo nell’affrontare le grandi trasformazioni odierne.
  4. Il ri-significare il digitale, intendendolo non solamente come strumento, ancora una volta, per efficientare processi, ma in quanto dispositivo poliedrico il cui potere è quello di cambiare forme e modalità delle relazioni tra persone e tra organizzazioni, nonché quello di veicolare e produrre conoscenze secondo possibilità impensabili fino a qualche decennio fa. Quello che bisogna iniziare a chiedersi è in che termini il digitale può valorizzare il contributo umano secondo un’ottica di “mutualismo aumentato”, come agisce nella relazione educativa e in quella solidaristica generando un nuovo senso di quell’agire, come può diventare un aiuto nella capacitazione delle comunità. Interrogativi che ancora una volta pongono le organizzazioni di fronte a quello che è a tutti gli effetti un cambio di paradigma.

Il secondo piano invece afferisce a quelli che sono specifici aspetti della singola organizzazione, e che rappresentano i cardini attorno ai quali viene a delinearsi il rapporto tra identità e attività della stessa. Spesso la principale difficoltà nell’agire un cambiamento all’esterno, deriva da una difficoltà nell’agire un cambiamento al proprio interno. Ciò è ulteriormente amplificato dal continuo schiacciamento delle organizzazioni sul presente e l’urgenza, il che impedisce alla singola realtà di dedicare momenti adeguati all’autoriflessione. Eppure non c’è alternativa, arrivati ad un certo punto bisogna scegliere di dedicare tempo e risorse a questo processo di auto-lettura, che non deve però essere un’azione puramente autoreferenziale in quanto, se l’oggetto è la ri-significazione della propria organizzazione, tale processo dovrà necessariamente avvenire attraverso un’apertura della stessa, implicando un confronto con le comunità di riferimento e l’inizio di un percorso che non rinunci al pensiero critico e all’inclusione delle diversità portata dalle giovani generazioni.

Il terzo livello mette in campo la relazione con il territorio e la pubblica amministrazione. Due son le sfide da affrontare:

  1. Ri-generare le alleanze territoriali, comprendendo in maniera più profonda le potenzialità trasformative insite nel lavorare secondo una logica di organizzazione-aperta e di alleanze trasversali, dove l’incontro con soggetti di natura diversa diventa l’occasione per abilitare percorsi di innovazione radicale ed ambire a generare risposte non meramente settoriali, ma di sistema. L’identità del singolo passa sempre di più dalla creazione di eco-sistemi (spesso anche attivati dal digitale) in cui ci si riconosce.
  2. Rilanciare la coprogettazione come metodo di co-creazioni di nuove politiche che incorporano il protagonismo dei soggetti della società civile. La necessità di recuperare il valore ed il fondamento di questa innovazione si fonda sulla consapevolezza che la co-progettazione non può limitarsi a semplice esercizio di innovazione amministrativa, ma deve tendere a promuovere una convergenza reale intorno ad obiettivi d’interesse generale. Ciò a significare che la relazione con la PA pur servendosi di argomenti giuridici mai deve dimenticare che il suo tèlosè quello di suggerire o proporre linee di policy migliorative della condizione umana e delle comunità. Un bivio rilevante che può farci rimbalzare verso una nuova stagione di politiche oppure riportarci al punto di partenza.

La necessità di una “postura civile” per generare bene comune

Quelle sopra accennate sono solo alcune delle traiettorie immediatamente percorribili per agire una ri-significazione delle organizzazioni di Terzo settore, ma c’è un ulteriore spinta che da sola indica in maniera inequivocabile la necessità di operare in questa direzione e per osservarla bisogna guardare oltre i confini nazionali. Nel corso dell’ultimo triennio si sono infatti moltiplicati i riconoscimenti a livello internazionale del ruolo strategico operato dall’Economia Sociale sia sul fronte dei sistemi di inclusione, sia sul versante specificatamente economico e del mercato del lavoro. In Europa si contano quasi 3 milioni di organizzazioni, oltre 13 milioni di posti di lavoro e qualche decina di miliardi di euro prodotti[1]. Non stupisce dunque il susseguirsi di raccomandazioni e stimoli per rafforzare e incentivare queste realtà sui vari territori. Tra i principali riconoscimenti si ricordi: la pubblicazione nel 2020 da parte dell’OECD del Global Action Promoting on Social and Solidarity Economy Ecosystems, mentre a fine 2021 l’Unione Europa ha stilato una prima versione del Social Economy Action Plan e nella primavera del 2023 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha pubblicato la First Resolution on Social and Solidarity Economy for Sustainable Develoment.

Nonostante la percezione di una crescente inerzia, guardando nell’insieme quanto sta avvenendo a livello internazionale e all’interno dei mondi delle realtà locali di Terzo settore, si può affermare che le trasformazioni in atto siano in realtà molteplici e tutt’altro che superficiali. Ecco dunque il perché dell’urgenza di agire un lavoro culturale che sappia ridare senso e significato alle azioni di tutte quelle organizzazioni impegnate per il bene comune, cosicché possano essere parte essenziale per guidare il cambiamento. Essere forti senza essere potenti. Essere veritieri senza essere fanatici. Nutrire il senso per la rettitudine senza essere moralisti. Essere uno, ma non senza l’altro. Serve uno sguardo civile, serve una prospettiva che assuma la dimensione antropologica come elemento espressivo e non come pura esternalità nell’arena economico-sociale.

Questa è, a nostro avviso, la postura da avere per ri-significare il mondo vitale delle organizzazioni delle società civile.

[1] https://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1537&langId=it

 “Ubi lux lucet, humanitas surgit”
(Dove splende la luce, l’umanità risorge)

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AICCON

AICCON è il Centro Studi promosso dall'Università di Bologna, dal movimento cooperativo e da numerose realtà, pubbliche e private, operanti nell'ambito dell’Economia Sociale, con sede presso la Scuola di Economia e Management di Forlì.

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