La versione integrale dell’articolo di Paolo Venturi pubblicato sul numero di settembre del mensile Vita.
Se c’è una cosa che fa la differenza, è quella forma di capitale che non si quantifica in termini di moneta, ma che si genera dentro le relazioni e che si misura in termini di fiducia: il capitale sociale.
Può un territorio svilupparsi senza avere una seppur minima dose di capitale sociale? Può una città progettare un sistema urbanistico resistente al tempo e adeguato alla socialitá senza tener conto del capitale sociale? Può un’offerta turistica evolvere e garantire ai visitatori un esperienza di qualità, rinunciando al legame con il capitale sociale che l’ha costituita? Possono il patrimonio culturale e la tradizione “arrivare” alle future generazioni prescindendo dal capitale sociale di un territorio? Possono le imprese prosperare in un mercato senza capitale sociale, possono le persone essere felici in comunità senza capitale sociale? … No, No, No.
Senza capitale sociale, senza fiducia, senza beni relazionali, senza istituzioni civili, senza norme sociali, senza motivazioni intrinseche, senza educazione al bene comune…tutto si blocca, si consuma, si degrada, si inaridisce. Rimane solo lo scheletro, come quello delle innumerevoli abitazioni abusive, sventrate e deturpate dall’abbandono e dalla speculazione edilizia che annichiliscono la vista e la vita di territori magici. Territori come il centro storico di Favara, paese di 32.000 anime a pochi chilometri da Agrigento e dall’immenso splendore della Valle dei Templi.
Entrando a Favara l’impatto è terrificante perché il primo monumento che ti viene incontro è lo scheletro fatiscente e abbandonato di una area urbana che esemplifica quella che Hardin nel 1968 chiamò in un suo celebre libro: “La tragedia dei commons”. Dentro questo involucro è però accaduto qualcosa di eccezionale, che ho avuto la fortuna di visitare, anzi, di incontrare durante la mia vacanza in Sicilia.
Sto parlando di Farm Cultural Park ossia di una “piccola comunità » impegnata ad inventare nuovi modi di pensare, abitare e vivere. Fondata il 25 giugno 2010 dal notaio Andrea Bartoli e dalla moglie l’avvocato Florinda Saieva, sorge all’interno del Cortile Bentivegna, un aggregato a sua volta costituito da sette piccoli cortili che ospitano piccoli palazzi di matrice araba ed è situata nei pressi del centro storico. Oltre ad essere un museo questo luogo è un centro culturale dove trovare installazioni permanenti di arte contemporanea,residenze per artisti e soprattutto giovani startuppers in cerca di un locus dove il valore di legame è in grado di liberare energie creative.
Il mezzo è la cultura, la scintilla è dimensione di senso costruita intorno ad una comunità formata da giovani stranieri, artisti, che convivono e popolano questi cortili con gli anziani e i bambini del paese.
Un’esperienza paradigmatica.
Un esempio mirabile di ri-generazione che fa della cultura e dell’arte un mezzo per alimentare il capitale sociale, farlo sgorgare nuovamente. Un progetto che ha saputo attivare attraverso la cultura e l’arte quelle relazioni e quella fiducia che il familismo e una visione barbara di sviluppo avevano consumato.
Senza capitale sociale si rinuncia all’essenziale…e al meglio.
“Tu non ti devi fidare…” oppure “perché non fidarsi? ” Queste due diverse opzioni sono la genesi di mondi completamente diversi: ci sono luoghi alimentati e costruiti da una logica in cui prevale il “tu non ti devi fidare..”, altri nei quali “il fidarsi” ha plasmato la realtà e la vita di chi ci abita. Lo sviluppo umano integrale comincia da un atto di fiducia senza del quale la persona non puó essere felice, una comunità non puó essere coesa, un territorio non puó essere valorizzato, un economia non puó essere sostenibile
Visitate l’esperienza profetica di Favara…e questa riflessione frettolosa forse vi sembrerà piú comprensibile.