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Ri-costruire Lo Spazio Politico

Contributo di Giovanni Fosti, Presidente Fondazione Cariplo

Vorrei fare alcune considerazioni partendo da una situazione specifica, legata a ciò che è successo in questo periodo, e vorrei che ci immaginassimo il contesto. Pensiamo, per esempio, ad un bambino di 6 anni che frequenta la prima elementare: all’improvviso arriva la pandemia e non può più andare a scuola. Questi bambini, che andando a scuola si sentivano grandi, da un giorno all’altro sono stati “rimbalzati” nella loro vita quotidiana precedente. Alcuni di questi bambini provenivano da famiglie che non hanno avuto la possibilità di tenerli connessi e di dare loro delle occasioni di apertura, di relazione e apprendimento, altri invece hanno potuto mantenere un sistema di relazione più forte.
Quindi, in prima elementare, i nostri bambini hanno vissuto due pandemie completamente diverse tra di loro.
Tra vent’anni, ad alcuni di questi bambini parole come comunità, istituzioni e bene comune risuoneranno in un certo modo, mentre per altri gli stessi concetti avranno un’accezione completamente diversa. Dobbiamo essere consapevoli che il modo in cui queste parole risuoneranno a quegli adulti, tra venti o trent’anni, dipenderà dalle scelte che vengono fatte oggi, e che il modo in cui questi concetti saranno assimilati sarà cruciale per le comunità, le imprese e le istituzioni presenti nel nostro Paese.

Non possiamo pensare che ci possano essere delle comunità molto forti affiancate da imprese e istituzioni molto deboli, o viceversa. Sono convinto che la crescita debba avvenire su tutti e tre i pilastri, oppure arretreremo, allo stesso modo, su tutti e tre i fronti.

In questo momento, viviamo in una situazione in cui, sulla base dei test Invalsi, il 30% dei nostri ragazzi non ha le competenze minime in italiano, e inoltre il 40% non ha le competenze minime in matematica. La pandemia non ha migliorato la situazione, poiché nel corso della stessa, prendendo ad esempio la regione Lombardia, 70.000 studenti hanno avuto dei significativi problemi di learning loss e 50.000 di questi fanno parte della popolazione più debole. Questo ragionamento porta al fatto che dobbiamo essere consapevoli di quanto le comunità in cui oggi viviamo sono sottoposte a fortissime spinte verso la frammentazione e quindi è necessario che il tema chiave sia la produzione di legame.

Da questo punto di vista, credo che la priorità debba essere quella di investire in infrastrutture sociali: non solo con l’idea di infrastrutture di welfare, considerando il welfare come un settore a sé stante, ma tenendo in considerazione l’esistenza di alcuni elementi che rendono la comunità più coesa e altri che invece tendono ad indebolirla.

Una società più coesa non dipende esclusivamente dal welfare, poiché i dati prima esposti non riguardano solamente il tema scolastico, ma, a mio avviso, dipendono in misura molto più ampia dal tema introdotto da Silvano Petrosino sul desiderio, ovvero domandarci quanto le comunità nelle quali viviamo hanno il desiderio di andare avanti. Per esempio: al giorno d’oggi, disponiamo un sistema di offerta culturale che va ad intercettare coloro che ne sono esclusi, oppure abbiamo un sistema che amplifica l’accesso per quelli che già ne sono inclusi?

Questa è la partita cruciale: comprendere quanto vogliamo porci problemi di cui non siamo abituati ad occuparci, oppure capire se continueremo a proporre in modo reiterato soluzioni riguardanti problemi già definiti, senza renderci conto della trasformazione impressionante in cui siamo immersi. Tutto questo, infatti, avviene all’interno di una trasformazione digitale che non può essere guardata come se fosse solo un tema tecnologico: dobbiamo invece renderci conto che si tratta di un tema che modifica sostanzialmente il sistema di relazioni tra le persone e anche all’interno delle comunità stesse.

Quando Fondazione Cariplo ha deciso di investire 15 milioni di euro in un bando extra-ordinario per tutelare la sopravvivenza dell’organizzazione del Terzo settore, questo non è stato un investimento solo sul Terzo settore, ma un investimento su un soggetto coesivo della comunità, sulla produzione e sul mantenimento dei legami di comunità.
Tanto è vero che non si è trattato di un investimento solo su quegli enti del Terzo settore che esercitavano welfare, ma sul Terzo settore che si occupava sia di welfare, sia di ambiente, che di cultura e ricerca.

Più rendiamo identitari gli interventi, più li segmentiamo, e più assumiamo una logica in termini di corporate, sarà quindi difficile che questo lavoro di promozione e di connessione di comunità generi un qualche tipo di valore.
Per questo motivo, credo che in questo momento il tema del ricostruire e del ritessere i legami di comunità sia un tema cruciale non solo per le Fondazioni, ma anche per le istituzioni e per le imprese. Per il sistema imprenditoriale, non è sostenibile pensare ad un Paese in cui il 40% delle persone ha difficoltà nel calcolo matematico e in cui il 30% delle persone non possiede gli strumenti linguistici di base. Dico questo per usare il concetto di sostenibilità, disancorandola dal tema puramente ambientale, sociale o di governance.

Dobbiamo chiederci che desiderio abbiamo come Paese e che Paese aspiriamo ad essere.
Credo che quello sulle persone, da questo punto di vista, sia il primo degli investimenti.

Bisogna immaginare come investire sul contrasto a questo tipo di disuguaglianza, non solo pensando di contrastare l’ingiustizia, ma essendo consapevoli del potenziale umano di cui il Paese si priva permettendo che avvengano frammentazioni ed esclusioni di una fetta importante della propria popolazione.

É importante immaginare quindi l’investimento sulle persone non come una filantropia conservativa, che va a mettere una “toppa” su qualcosa che continua a non funzionare, ma come un sistema di soggetti istituzionali pubblici e privati che si alleano per fare dei passi avanti nel Paese, scegliendo un’agenda di questioni che considerano particolarmente prioritarie.
Da questo punto di vista, se c’è un errore che non dobbiamo commettere con il PNRR è quello di considerarlo come un punto di arrivo, poiché è un mezzo di straordinaria e di grandissima portata, dobbiamo invece tenere in considerazione che ci sono tanti fattori compresi nel PNRR, e altrettanti che ne stanno al di fuori.

Immaginare il dialogo tra ciò che comprende il PNRR e ciò che ne è escluso mi sembra molto più importante rispetto al solo fatto di voler saltare a tutti i costi dentro quella diligenza.
Quindi se vogliamo avere un atteggiamento contributivo, credo che il tema debba essere quello di porsi a favore della produzione di un’infrastruttura sociale che riesca a dare valore agli investimenti che si fanno con il PNRR. Di conseguenza, la questione non è investire o meno sui muri, ma il tema è farlo tenendo in considerazione, oltre ai muri stessi, le persone che li utilizzeranno, avendo una visione sulla comunità circostante e sul modo in cui interagisce la progettazione degli spazi con la progettazione di comunità, che è una questione sicuramente più ampia.
Il tema della frammentazione è quello a cui ho dedicato più attenzione: attorno alla partita del PNRR noi possiamo fare molto lavoro di ricomposizione, ma dipende anche da quanto immaginiamo che la partita si giochi sulle risorse, sull’aggiungere fattori o dalla consapevolezza che siamo entrati in un’altra fase.

La contemporaneità non è fatta di aggiunte, ma è fatta di connessioni: riconoscere le risorse e saperle connettere, creando consenso sulle priorità, è oggi un fattore cruciale.

Siamo immersi in trasformazioni molto forti, iniziate già prima della pandemia: sta cambiando la struttura sociale di tutto il mondo, e in particolare, del nostro Paese sta cambiando la struttura demografica e siamo coinvolti in una trasformazione digitale enorme, di conseguenza tutto quello che facciamo sulla base di “mappe del passato” ci porta tendenzialmente verso vicoli ciechi.

Dobbiamo essere attenti a non correre il rischio di mettere tutte le nostre energie nell’identificare soluzioni per poi “venderle” ad altri. Dobbiamo invece avere l’umiltà di metterci attorno ad un tavolo e cercare di capire, insieme, quali siano i problemi chiave su cui investire. Successivamente, sarà anche possibile trovare in modo condiviso delle soluzioni.
Ci vuole molta umiltà e la consapevolezza di quanto sia grande la portata del cambiamento in cui siamo immersi, rispetto alle possibilità di comprensione che ciascuno di noi singolarmente ha.

Il contributo è pubblicato nel volume “GENERAZIONI. La sfida della Sostenibilità Integrale” che raccoglie tutte le relazioni e approfondisce i temi emersi in occasione della XXI edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile.

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AICCON

AICCON è il Centro Studi promosso dall'Università di Bologna, dal movimento cooperativo e da numerose realtà, pubbliche e private, operanti nell'ambito dell’Economia Sociale, con sede presso la Scuola di Economia e Management di Forlì.

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