Entrare in una biblioteca con un approccio etnografico, capire i modelli mentali e gli itinerari di fruizione, e accorgersi che l’80% delle persone non entra per prendere libri ma per sostare e attivare relazioni libere da sovrastrutture. Visitatori, giovani e coppie di culture e religioni diverse, anziani, ma soprattutto donne. E gli uomini? A riportarli in biblioteca, in Danimarca, in orario serale e in completa autonomia grazie a una tessera digitale, ci ha pensato il design. O meglio, ci ha pensato il team di Simona Maschi, cofondatrice e direttrice dell’Istituto di Interaction Design di Copenaghen.
Nel suo lavoro si è occupata di trasporto privato e pubblico, salute e benessere, abitare sostenibile e città intelligenti. «Il design si è sempre occupato di prototipare cose che ancora non esistono», spiega. «Tutto ciò che non deriva dalla natura è stato progettato: una sedia, un vestito, un vaso, un bicchiere sono atti di design e in quanto tali nascono da un’ispirazione. È nella fase di progettazione che si determina l’80% dell’impatto che un artefatto avrà sul mondo. Per questo è importante avere in mente le conseguenze di ciò che sta nascendo». Come? «Confrontandosi con le comunità, le persone, la loro vita e i loro bisogni. Un impatto sociale positivo si ottiene coinvolgendo nel processo creativo gli utenti che ne beneficeranno».
È accaduto nel ripensare le biblioteche di Copenaghen, ma non solo. «Nelle case di riposo, abbiamo ragionato su come migliorare la qualità della vita degli ospiti e offrire loro quello che qui chiamiamo the worm hand time, il calore del contatto umano. Abbiamo realizzato scatole digitali che contengono frammenti delle loro storie: sembrano tivù e invece sono archivi di memoria». Uno studente dell’Istituto di Interaction Design ha progettato un software eye conductor che permette di fare musica con le espressioni facciali: «Gli anziani sono diventati direttori d’orchestra con gli occhi. Un’intuizione che è in grado di creare valore e distribuire opportunità per tutti indistintamente, anche per chi non ha una disabilità».
Che ruolo ha la comunità? «È essenziale come abilitatore e co-creatore di servizi». L’esempio più calzante è Cycling without age, «un servizio che abbiamo prototipato in Danimarca: su una bici cargo, cittadini e turisti portano in giro per la città gli anziani delle case di riposo. Il risultato è una liberazione di storie che nessuna guida potrà mai eguagliare». Adottare processi di dialogo con le persone è una strategia efficace anche per il Terzo settore: «L’invito è ad andare dentro le scuole e gli ospedali, vedere le facce, toccare la pelle, focalizzarsi sul problem setting prima di passare al problem solving. Il nostro corpo è la macchina più intelligente che abbiamo a disposizione».
Maschi interverrà alle Giornate di Bertinoro, un evento in cui il Terzo settore si incontra e si confronta. Alla domanda da cui prende le mosse l’edizione 2025, Per cosa siamo liberi?, Maschi risponde così: «Libertà è poter scegliere un equilibrio nella vita senza costrizioni dovute a logiche di lavoro, mobilità o reti sociali. Se ciascuno di noi fosse libero di curare in modo quasi artistico la propria quotidianità, l’intero ecosistema sarebbe migliore».
Intervista a cura di Daria Capitani pubblicata su VITA (ottobre 2025)
